Cultura

Andreis

Sul territorio sono presenti quattro borgate principali: Alcheda, Bosplans, Prapiero, Sott’Anzas. A Bosplans è possibile ammirare una fontana secolare; questa si trova lungo il sentiero antico che da Montereale porta nella valle di Andreis e da lì prosegue verso Barcis. Scavata in un unico monolite roccioso, ha fornito acqua alla comunità di Bosplans ed alle genti di passaggio. Questo singolare “bene culturale minore” è stato cordiale testimone delle tante vite di questa valle. La fontana è stata restaurata nel 1997 dal Comune di Andreis, su indicazione e con la collaborazione della Sopraintendenza per B.A.A.A.A.S. del Friuli Venezia Giulia, con il contributo della Direzione Regionale dell’ Istruzione e Cultura e della Amministrazione Provinciale di Pordenone.

Nella piazza centrale del paese, nei locali dell’ex Municipio, ha sede il Museo dell’Arte e della Civiltà Contadina, in cui sono esposti oggetti illustranti lavoro e momenti di vita tradizionale. Interessanti sopratutto le inusuali raganelle pasquali, la fucina del fabbro, la vetrina per la confezione dei pettini d’osso, la lavorazione delle palotes (scarpe in legno) e delle scarpetes (calzature in pezza), molto utilizzate in passato.

Da visitare la Chiesa parrocchiale di S.Maria delle Grazie. Edificata tra il 1662 ed il 1670 sulla preesistente che risaliva al 1525 circa, fu danneggiata assieme al campanile dal terremoto del 1776. Nel 1913, durante i lavori di allungamento della chiesa, la vecchia facciata fu sostituita dall’attuale di gusto goticheggiante. L’interno, ricco di cinque altari, conserva opere degne di nota: Madonna delle Grazie, dipinto di gusto popolareggiante; battistero di maestro Pietro Colusso di Meduno (1668); statua settecentesca di San Sebastiano attribuita ad Agostino Fasolato (1742); altare maggiore con tabernacolo di G. B. Bettini (1748), pala d’altare e statue di Giacomo Contiero (1750), padovano, raffiguranti i Santi Pietro e Paolo.

Interessante anche la Chiesa di San Daniele in Monticello; è un grazioso edificio con portico, costruito intorno al 1723. Fu distrutta dal terremoto del 1864 ma venne ricostruita poco dopo per volontà degli andreani.

La principale attrattiva di Andreis è però rappresentata dall’architettura spontanea delle sue case, vero “unicum” ambientale, ben ristrutturate nel capoluogo e nelle frazioni (a Bosplans, ad esempio) dopo il terremoto del 1976.
La struttura tipica è costituita da due vani al piano terra, preceduti da un porticato, l’uno adibito a cucina (con il caratteristico “fogolar furlan” al centro), l’altro a cantina e dispensa. Alle due camere del piano superiore, che si affacciano su un ballatoio con ringhiera di legno, si accede mediante una rudimentale scala che parte dal porticato.

 

Barcis

Abitata per lungo tempo dagli stenti, la montagna diede la propria devozione al cielo. Lo testimoniano le numerose chiesette che punteggiano il territorio. Nel cuore del paese c’è la parrocchiale di San Giovanni Battista (XVI sec.). Risalendo alla frazione Roppe è possibile raggiungere l’antica chiesa di San Daniele, distrutta da un fulmine nel 1806. Lì vicino si trova anche quell’antica chiesa di San Giorgio attorno alla quale era sorto Cellis. Pregevole è anche la chiesa situata in località San Francesco come pure il capitello di Arcola.

Chiesa di San Francesco
Come raggiungerla: da Barcis imboccare via S. Francesco, sino ad arrivare in località Ribe.
Questa è l’unica chiesa della valle dedicata al Santo di Assisi. La particolare devozione a San Francesco deriva dalla paura che gli abitanti avevano delle bestie selvatiche. In special modo, essi temevano la minaccia dei lupi che un tempo vivevano nei boschi vicini. La tradizione vuole che presso la chiesetta vi fosse una stazione di cambio dei cavalli. Essa serviva a coloro che percorrevano la strada che collegava l’alta valle e la pianura, attraverso la Molassa, Andreis, Bosplans, Forcella, La Croce, sino a Maniago. Accanto alla chiesetta, infatti, è stato individuato un terreno di forma allungata che doveva essere lo spazio pubblico necessario per l’operazione di cambio dei cavalli, mentre la casa di proprietà Salvador sarebbe stata la stalla ed il magazzino di un’antica attività agricola e commerciale.

La chiesa di San Francesco è, dunque, una chiesetta alpestre edificata intorno alla prima metà del XVIII secolo, su un nucleo edilizio anteriore. Sono ancora visibili i resti di fondazione dell’area antistante la chiesa, che in una delle fasi storiche dell’edificio era occupata da un portico. Quest’ultimo serviva come luogo di riparo dalla pioggia o per il pernottamento dei viandanti. Tuttavia, quando agli inizi di questo secolo fu aperta quella che oggi chiamiamo la “Vecchia Strada della Valcellina”, nel tratto Barcis-Montereale, la precedente strada per Andreis venne abbandonata e cadde la necessità di mantenere il portico per il ricovero dei viaggiatori.
All’interno, l’altare maggiore ospita una scultura in pietra, piuttosto rozza, raffigurante San Francesco con il lupo ammansito.

In una visita pastorale del 1820, il Visitatore Apostolico impartì l’ordine di celebrare nella chiesa di San Francesco almeno due volte all’anno: alla terza Rogazione ed il 4 ottobre, giorno del Santo titolare. Si tramanda, inoltre,  che questo edificio avesse svolto la funzione di chiesa parrocchiale nel periodo in cui si effettuarono i lavori di ampliamento dell’attuale chiesa di San Giovanni Battista (1867 – 1875).

Chiesa di San Giorgo in Celis
Come raggiungerla: da Barcis raggiungere località Rope.
L’insediamento di Barcis è molto antico, vi sono documenti che risalgono almeno all’VIII secolo. Tutta la popolazione era raccolta sotto la pieve di San Giorgio in Cellis, che anticamente sorgeva in località Rippe e che venne distrutta da una frana nel 1392. Anche nei documenti si fa ripetuta menzione dei prati di San Giorgio e della Villa di Celle, così chiamata forse dal torrente Cellina che scorreva in prossimità.
La chiesa che ora vediamo, restaurata dagli Alpini nel 1969, sorse dunque come riedificazione, seppure in un altro luogo, di quella originaria (XVIII secolo).
Il tetto a capanna dell’edificio è coronato da una bifora campanaria. L’aula interna è coperta da un tetto a capriate ed è divisa dal presbiterio mediante un arco trionfale a tutto sesto. La luce entra attraverso l’occhio della facciata e da mezzelune aperte sulle pareti laterali. Caratteristica è l’acquasantiera innestata alla parete interna dell’ingresso, settecentesca la scultura lignea di San Giovanni Battista, che un tempo era custodita nella chiesa parrocchiale.

Cimolais

Da visitare la Chiesa Parrocchiale con altari lignei del ‘600 e pale dipinte da allievi minori del “Pordenone”; interessante l’ex-voto “incendio del paese”, fra i più belli del Friuli occidentale.
Le chiese delle “Crosite”, di San Floriano, San Bellino, di San Osvaldo e la moltitudine di capitelli diffusi sul territorio testimoniano storia e tradizioni che risalgono alla notte dei tempi (interessante a riguardo la pubblicazione della IV Comunità Montana).

Da vedere anche la Chiesetta Alpina, dal cui colle si gode una bella vista del Paese e della Piana di Pinedo: la chiesetta fu costruita da tutti gli abitanti del paese, compresi donne e bambini, in scioglimento di un voto fatto alla Vergine Maria, a cui si rivolsero le loro preghiere quando i tedeschi minacciarono di bruciare l’intero paese; all’interno si può ammirare una riproduzione della grotta di Lourdes.

Sito di particolare interesse è rappresentato dalla vecchia fornace di calce, situata in Pian Pinedo (adiacente al Parco Faunistico). Costruita intorno al 1940, è stata recuperata di recente dal Comune grazie all’opera di alcuni volontari.

Claut

Museo Casa Clautana
Il museo è stato aperto al pubblico nel 1990 ed ha subito ottenuto il riconoscimento dell’assessorato regionale alla cultura l’esposizione occupa le sette sale del primo piano del Centro Sociale Parrocchiale e dispone di altrettanto spazio al piano terreno per le mostre temporanee ed attività connesse. Il percorso museale è incentrato sulla figura della donna clautana e per estensione, valcellinese, intenta ai lavori di casa, dei campi, della stalla e in cammino “fora pal mont” (in giro per il mondo) quale venditrice ambulante di utensili di legno; programma e realizza recuperi e mostre tematiche didattiche in collaborazione con le scuole dell’alta valcellina, con l’ente Parco Naturale Dolomiti Friulane, con la Provincia e con altri enti e associazioni locali, provinciali ed interregionali. Inoltre offre consulenza e sostegno per tesi di laurea, studi e pubblicazioni inerenti le finalità statuarie del Museo stesso.

Fanna

Chiesa 
Edificio neoclassico costruito agli inizi dell’ottocento su progetto di Stefano Marchi di Stevenà; affrescata da G. Carlo Bevilacqua nel 1829 con tre riquadri sul soffitto della navata (Cristo risorto, la discesa dello Spirito Santo, la consegna delle chiavi). Nell’abside un dipinto del poeta-pittore-patriota Vittorio Cadel (+1917) rappresenta Cristo che cammina sulle acque. La pala di San Martino è opera del pittore fiammingo Giovanni Moro (1662). Gli stalli del coro offrono pregevoli intagli (sec. XVII).

SANTUARIO
Costruzione antichissima nota anche come Santuario della Madonna di Strada o Santa Maria di Mercadello fin dal 981. E’ considerato dagli storici il più antico santuario mariano del Friuli.
Pare che l’attuale santuario, almeno nelle sue principali mura, sia stato innalzato nel 1356 su commissione di Giovanni Malagrini, possidente di Fanna, …in remissione dei suoi peccati e affidato al piovano di San Remigio (ora Cavasso Nuovo). Solo nel 1757 una ducale di Francesco Loredan sanzionò la dipendenza di Madonna di Strada dalla Parrocchia di Fanna.
L’edificio ha subito molti rifacimenti fra il 1400 e il 1700, tanto che si pensa che della vecchia chiesa sia rimasta l’attuale abside con l’affresco dell’Annunciazione. Il campanile e la sacrestia sono stati edificati nel 1733.
La chiesa, nello stato attuale, fu costruita negli anni 1886-1899 quale moto spontaneo dei popolani di Fanna.
Il soffitto fu affrescato dal poeta-pittore-patriota Vittorio Cadel (1884 +1917) con una scena dell’Incoronazione della Vergine e quattro medaglioni di Santi.
La statua policroma oggi venerata dai fedeli è attribuibile al Pilacorte (sec. XIV) e rappresenta Maria che sorregge il Bambino con in mano una pergamena su cui è scritto “Io sono la vita”. La tradizione recita che sia un “ex voto” elargito da un castellano dei Signori di Polcenigo, salvatosi a stento da una piena improvvisa del vicino torrente Colvera.
Sembra che alla fine del 1400 la chiesa fosse del tutto cadente e l’immagine di Maria abbandonata. La leggenda narra, infatti, di un ritrovamento della statua in mezzo ai cespugli e di tre tantativi di portarla nella Pieve di San Remigio, che immancabilmente si risolvevano con l’immagine ritornata sulle rive del Colvera. Preso come segno della volontà della Madre di Gesù, i fedeli ricostruirono la chiesa ed il Santuario rifiorì.

Erto e Casso

I numerosi percorsi escursionistici offrono inoltre la possibilità di visitare vecchie malghe abbandonate e di scorgere particolari conformazioni rocciose come “Le laste de San Danial” sul monte Borgà. Anche assistere ad alcune manifestazioni tradizionali come “Al Veindre Seint”, un’antica rappresentazione liturgica della Passione e Morte del Cristo, o “Tirè al scopeton”, un originale mercoledì delle Ceneri che annuncia il faticoso periodo Quaresimale di penitenza e carestia, è un qualcosa di unico, che permette di scoprire antichi rituali e credenze che continuano ad essere fedelmente tramandati di generazione in generazione.
La storia di questi paesi è veramente affascinante e particolare e purtroppo resa terribile da quell’orribile notte del 9 ottobre 1963, evento che non può e non deve essere dimenticato.
Nelle strette vie ciottolate, tra le alte case in pietra, bisogna pensare anche a questo, e a come qui, dopo il disastro, una nuova realtà e un nuovo paese si siano sostituiti alla serena vita di questa comunità. Ancor oggi lungo le strade sono visibili le fondamenta delle case distrutte dall’onda e la frana domina sovrana vicino alla diga. Il tema della catastrofe del Vajont è ampiamente trattato nel Centro Visite di Erto “Uno Spazio alla Memoria” che ne ripercorre dettagliatamente tutte le singole fasi, dalla progettazione della diga alla sentenza conclusiva del processo.

Erto e Casso è conosciuta a molti anche per essere il paese di Mauro Corona, che in questi anni è diventato famoso sul territorio nazionale grazie alle sue numerose imprese alpinistiche, alle sculture in legno e ai numerosi libri pubblicati.

Maniago

Piazza Italia
La bella piazza Italia, una delle più grandi di tutto il Friuli, è da sempre il cuore di Maniago.
Un tempo chiamata piazza Maggiore, ha il suo centro nella monumentale fontana ed accoglie attorno a sé gli edifici più importanti della città: il Duomo di San Mauro, la Loggia, il palazzo d’Attimis, la chiesa dell’Immacolata. Proseguendo a piedi lungo via Umberto I, si trovano prima la Biblioteca Civica, quindi il rinnovato Palazzo Veneziano, il Teatro Verdi e il nuovo largo San Carlo da cui si può accedere al Parco Comunale. Sempre dalla piazza, ma nella direzione opposta, in pochi minuti si può salire al Castello, percorrendo la via omonima.

La Fontana
Realizzata in pietra d’Aviano, la costruzione della fontana risale al 1846-47 su progetto del maniaghese Luigi Marsoni. Presenta una base ottagonale, con quattro vasche semicircolari e quattro scalinate orientate secondo i punti cardinali

Palazzo D’Attimis
Di questo palazzo possiamo ammirare per il momento solo la facciata che dà sulla piazza ed in particolare la Loggetta risalente al XVI secolo e l’affresco raffigurante il Leone di San Marco che tiene sotto la zampa lo stemma del casato maniaghese, opera di Pomponio Amalteo. L’artista sanvitese dipinse l’opera per ordine della Repubblica Veneta intorno al 1570, corredandola da iscrizioni, ormai poco leggibili, che testimoniano i buoni rapporti tra la Serenissima ed i conti di Maniago: “Al tuo gran regno alla tua eccelsa sede, pria che soggetta io mostrai la fede”.

Montereale Valcellina

Montereale è la terra di Domenico Scandella, detto Menocchio, il mugnaio del paese. In un’imprecisata giornata del 1599, un anno prima di Giordano Bruno, fu condannato al rogo dall’inquisizione e bruciato in Contrada Maggiore, a Pordenone.

Menocchio fu accusato di propagandare idee sulla comparsa dell’uomo sulla Terra in contrasto con la dottrina della Chiesa. Di lui scomparve anche la memoria, fino a quando Carlo Ginzburg, nel suo libro “Il formaggio e i vermi“, né ricostruì la vicenda facendola riemergere dalle carte d’archivio. Il vivace Circolo culturale di Montereale è dedicato proprio all’eretico mugnaio. www.menocchio.it

Fino al 1291 Montereale era denominata Calaresius. Le sue origini sono molto antiche. La frequenza dei ritrovamenti e la consistenza dei reperti fanno supporre a insediamenti dell’età del bronzo. Durante un lavoro di sbancamento è venuta alla luce una vasta necropoli. Ma molti altri reperti dell’età imperiale e tardo-romana sono stati ritrovati in tutta la zona. Tutti i reperti sono raccolti nel Museo Archeologico del paese, presso Palazzo Toffoli, un complesso edilizio di origine seicentesca dall’elevato valore artistico e architettonico, sede inoltre della Biblioteca Civica.
Montereale è anche paese d’arte. Il fascino non può che crescere al cospetto dello splendido ciclo di affreschi del “pordenoniano” Calderai nella chiesetta di San Rocco (dell’XI secolo ma restaurata nel XV e nel XVI secolo), al centro del cimitero. Nella cappellina interna è conservato anche un altare ligneo seicentesco.

Di particolare interesse è la Ex Centrale idroelettrica “Antonio Pitter” di Malnisio, costruita nel 1903, è un capolavoro di ingegneria visto che questa riforniva elettricità fino a Venezia. Recentemente l’ex Centrale è diventata Museo dell’Energia Elettrica e di archeologia industriale.

Vivaro

MUSEO ANTIQUARIUM
E’ attualmente la più ricca raccolta della provincia di materiale romano rinvenuto nella pianura e nella pedemontana pordenonese dal Gruppo Archeologico “Cellina-Meduna Co.G. di Ragogna” in oltre 25 anni di attività, sotto le direttive della Soprintendenza Archeologica del Friuli Venezia Giulia.
I reperti conservanti offrono una significativa testimonianza sulla vita delle genti che si insediarono sul territorio dall’età del bronzo fino all’alto Medioevo.
Interessanti e numerosi sono gli attrezzi in ferro e importanti sono i reperti inerenti gli usi funerari.

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